giovedì 23 febbraio 2017

El trans de Opcina mette tutti d'accordo sul gay pride a Trieste

Niente, ci sembrava giusto ricordare la proposta di Lapo The Dog, al secolo Lapo Elkann, per unire l'utile al dilettevole: riconversione del tran de Opcina in trans de Opcina e via andare, tuti contenti e Gay Pride destinato al successo.
Qua la notizia rigorosamente in inglish perché xe robe international ou.

The first offer arrived from Lapo The Dog, also known as Lapo Elkann, of the Fiat industry, that will modernize it as shown in the fig. Pride and that will also modernize the song of the tramway to launch the publicitary campaign with great style. The tran de Opcina will be called “trans de Opcina”. The operation for the modernization will be conducted at Cattinara Hospital, famous for this type of operations.




EL TRANS DE OPCINA
E desso el trans de Opcina con noi xe fortunà
portado a Catinara, là i lo ga operà
Roby diseva “serar che no xe schei!”
ma desso el xe l’idolo dei latacu e dei gay
E daghe la bora che vien e che va
i disi che Roby del tran se ga stufà
e daghe la bora che vien e che va
e noi lo portemo fin piaza Unità
‘Na volta sule sine se rivava a Opicina
un ’ssai bel panorama, senza ciuciar benzina
ma ‘desso che’l xe nostro, sto gran bel tranvai
lo portemo a Roma come caro del gay pride
E daghe la bora che vien e che va
i disi che Roby del tran se ga stufà
e daghe la bora che vien e che va
e noi lo portemo fin piaza Unità
E ‘desso che sti altri la TAV i vol scavar
noi dale nostre sine li mandemo a cagar
de Monte Grisa a Barcola, de Muja ala stazion
noi sul trans de Opcina femo un gran feston
E daghe la bora che vien e che va
i disi che Roby del tran se ga stufà
e daghe la bora che vien e che va
se ribaltaremo in piaza Unità!


Bon, e adesso non vi resta che andare a comprare l'osmiza sul mare e regalarlo a tutti!
Se no gnente tran per andar in osmiza! :P

L'Osmiza sul mare lo trovate in tutte le librerie di Trieste e Bisiacaria a 10 euri.
Oppure comodamente online a questo link.
O anche in formato ebook.



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mercoledì 22 febbraio 2017

Mona honoris causa

Per festeggiare la presentazione di ieri de L'osmiza sul mare (grazie ai presenti!) pubblichiamo il racconto del fungo, letto ieri in anteprima.
Grazie a Massimo Tuttotrieste per la foto del cartel che se trova a Santiago de Compostela.
Qua le altre anteprime: Arsalan, genio moderno; La leggenda del pirata arciere; Nosepolis e Bondeifemo, città dei pro e dei contro.


MONA HONORIS CAUSA
il racconto del fungo

Comunicazione sindacale di nomenclatura regnicola.
Il regno dei funghi dichiara piena solidarietà a se stesso per le continue discriminazioni alle quali viene quotidianamente sottoposto dagli altri regni, in particolare da quello animale, in particolare dalla classe dei mammiferi, in particolare dall’ordine dei primati, in particolare dalla specie Homo sapiens. Cattivi.
Riportiamo, a titolo di esempio, alcune intercettazioni captate dai nostri servizi segreti, utilizzando dei piccoli microfoni ambientali di nostra invenzione che l’Homo sapiens ha successivamente copiato denominandoli “cimici”, unendo così al danno del furto di tecnologia la beffa del nome, derivato dal regno animale e non da quello dei funghi. Cattivi.

Intercettazione A
Homo sapiens 1: - Ciao, sai che ho un animale?
Homo sapiens 2: - Ma dai! Che bello! Sarà carinissimo! Mostramelo che me lo spupazzo un po’!

Intercettazione B
Homo sapiens 1: - Ciao, sai che ho un pianta?
Homo sapiens 2: - Ma dai! Chissà che bella ed elegante, mostramela!

Intercettazione C
Homo sapiens 1: - Ciao, sai che ho un fungo?
Homo sapiens 2: - Oddio!!! Dove??? Non sarà mica contagioso? Non toccarmi! Andiamo subito in ospedale, devi assolutamente farti vedere!

Come si può notare, il regno dei funghi subisce un trattamento ingiusto e penalizzante rispetto a quello degli animali e delle piante. Cattivi.
Chiediamo dunque una revisione della nomenclatura, atta a garantire d’ora in poi un maggior rispetto della nostra dignità di individui bisognosi di attenzioni, coccole e belle parole. Sia dunque messa al bando la parola Funghi. Per indicare il nostro regno d’ora in poi si utilizzerà unicamente il nome Miceti, che ci garantirà finalmente un trattamento pari a quello del regno degli animali, come da esempio.

Esempio A
Homo sapiens 1: - Ciao, sai che ho un miceto?
Homo sapiens 2: - Un micetto? Ma dai! Un piccolo micio! Ma che carino!!! Dove? Mostramelo!

Per quanto riguarda gli altri due regni, Protisti e Monera, che per millenni hanno fatto i finti tonti pur di non venir discriminati (ed infatti la maggioranza dei presenti li avrà sentiti nominare oggi per la prima volta), proponiamo che vengano riuniti in un unico regno, denominato Mona.
Oltre che per la somiglianza con il nome Monera, l’etimologia del nuovo regno dei Mona si basa sul famoso detto triestino “far el mona per no pagar el dazio”, ovvero esattamente “fare i finti tonti”.
Infine, a parziale risarcimento dei danni morali fino ad oggi inflitti al nostro regno, chiediamo che anche l’Homo sapiens sia da oggi aggregato al regno dei Mona.
Un mona honoris causa.


Bon, e adesso non vi resta che andare a comprare l'osmiza sul mare e regalarlo a tutti!
Se no anche voi sarè mona honoris causa! :P

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lunedì 13 febbraio 2017

I importanti studi de Mona

Gnente.
Insoma...
I ne segnala sto importante studio giornalistico dela mulona Mona Chalebi.
Che con un nome cussì no podeva finir de nissuna altra parte che in una rubrica del titolo "Lettere dalla vagina". Beh, iera el suo destin. 
Volevimo in efeti intitolar sto post "Letere dela Mona" ma ne pareva poco elegante.



Ma la roba bela xe che nel documentario -che non gaverè cazz... voia de vardar tuto (ve conossemo)-, compari anche el mulo Harvey KATZ, che altro no pol dichiarar se non "sono nato per avere orgasmi".



Colaborator de Mona chi podeva esser se non: Gregorio Cocal.


Eco.
Gnente. 
Xe cussì perfeta tuta sta roba che la par quasi finta.
La scienza no finirà mai de stupirne.
Grazie a Giorgio Sperne per la segnalazion.


lunedì 6 febbraio 2017

Giapponesi in un'osmiza sul mare

Giapponesi in osmiza. E non una qualsiasi, ma propio una Osmiza sul mare!
Per bon!
Una television giaponese ga fato sto bel documentario a Trieste. E dove i xe andai?
In Osmiza, ovio! :)
Notar la presenza ala fine de Beps che ga sonado el tram de Opcina per lori. Mitico.
E dopo el ghe ga fato aprezar tuto el cd dela galina con tre teste (che tra l'altro desso se trova anche su itunes qua).
Ben fata, osmiza internescional!




mercoledì 1 febbraio 2017

Le mudande bagnade fa cagarse de fredo

Fuori piove.
Ocio.
Fortunatamente la scienza viene come al solito in nostro aiuto.
Ecco lo studio scientifico (vero) che dimostra che star cole mudande bagnade te fa cagar indosso de zima.


In pratica Bakkeviq e Nielsen hanno testato quattro paia de mudandoni (cotone, lana, polipropilene e doppio strato lana-polipropilene) su otto persone che dovevano stare fermi 60 minuti coi mudandoni bagnai.
Hanno valutato la temperatura della pelle, del busdel e la perdita di peso. Hanno inoltre raccolto le indicazioni soggettive delle persone. Tipo porconi e insulti probabilmente, robe cussì.
Il risultato (che sorpresa!) è che più sotile xe la mudanda, più zima te ga. Meo de tuto quele de lana e polipropilene.

Attirati da questo importante studio, abbiamo ritenuto doveroso approfondirlo e controllare che non ci siano stati bias (errori di sbaglio) nella progettazione.
Tipo: tra le otto persone c'era un furlan? Tutti sanno che i furlani sono onnipotenti di fronte alla pioggia, per cui sicuramente no ghe gavessi fato un baffo.
Tuttavia, essendo furlan, avrebbe porconato lo stesso, quindi casin e studio a remengo.

E' stato poi valutato il SPF (Scorezoni Prot Factor) degli otto candidati? Perché è evidente che chi può asciugarsi le mutande a scoregge risulta avvantaggiato.

E una volta valutato che andar in giro cole mudande bagnade fa zima, è stata proposta una metodologia per no bagnarse el cul? Perché ricordiamo il famoso detto:
Chi che nassi sfortunà
ghe piovi sul cul anche stando sentà.

Insomma no xe facile.
Urgono copiosi investimenti per approfondire questo importante studio dei muloni Bakkeviq e Nielsen. Deneli e femo noi tuto.


Monon Behavior in the world. La rubrica dedicata ai più importanti studi scientifici VERI che ci hanno praticamente rubato. Maledeti ciò.

Bon, e adesso non vi resta che andare a comprare l'osmiza sul mare e regalarlo a tutti!
Se no ve pioverà sul cul anche in osmiza! :P

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giovedì 19 gennaio 2017

Dieci cose da fare a Trieste con la Bora

Visto che la Bora non molla, non ci resta che elencare le dieci imperdibili cose da fare in questi giorni ventosi.

I DIECI MUST DELLA BORA DI TRIESTE

  1. Essere il primo a recitare la magica formula "No xe più la bora de una volta".
  2. Recitarla per secondo ma argomentarla scientificamente, dando la colpa al rimboschimento del Carso che frena la sua potenza, il che vi permette di chiudere l'affermazione con un saccente "Una volta iera tuto campagna". Combo vincente.
  3. Sfidare il vostro avversario di sempre nella classica pisciata dal Molo Audace e sfruttare l'effetto doping della bora. Ocio solo a no sbaiar lato.
  4. Osservare gli scooter distesi resistendo alla tentazione di tirarli su, tanto ricadrebbero di nuovo. Se i ga deciso de farse un spavin, lasseli in pase.
  5. Partecipare alla caccia al tesoro degli scovazoni. Dove i xe finidi tuti?
    foto da scovazoni de Trieste.
  6. Scoreggiare in libertà tanto non si sente né il rumore né l'odore.
  7. Lanciare pane ai cocai per vedere se riescono a prenderlo al volo anche con la bora e accorgersi che a cibarsene sono invece i colombi di Piazza San Marco a Venezia.
  8. Portare il proprio cane a spasso e ritrovarsi con un nuovo modello di aquilone fighissimo (che ingruma un casin).
  9. Fare windsurf con lo skateboard. Only for superheroes.

  10. Stare a casa a leggere un bel libro al caldo. Tipo quel libro fighissimo dal titolo Le disgrazie del tran de Opcina. [Pubblicità non occulta :D]

  11. Bonus: telefonare a quelli della Wind e dirghe che no i xe nissun perché a Trieste gavemo la Bora che ghe da straze!

E per restar agiornado cole monade, iscrivite ala monadesletter:


martedì 17 gennaio 2017

La leggenda del pirata arciere

Eccoci! Per festeggiare il quinto posto da dicembre nella classifica della narrativa italiana in Friuli Venezia Giulia pubblichiamo una nuova anteprima ciolta da L'Osmiza sul mare, il bellissimissimo 'ssai roba figon spaziale che bel che bel libro che trovate in tutte le librerie di Trieste, Bisiacheria, e da questa settimana anche Udine e Gorizia (Ubik, Feltrinelli, Cormons, San Daniele, Cividale... insomma in giro un poco partuto!), nonché online a questo link. O in ebook qua.
Ecco la storia di Julian Raven, il temibile pirata arciere capace di affondare qualsiasi nave con una sola freccia. Daghe! Salpa anche tu sulla Freccia della Morte!
(P.S. Chi non avesse letto le altre anteprime, eccole: la storia di Arsalan, genio della lampada moderno, e la storia di Nosepolis, città del No se pol.)


LA LEGGENDA DEL PIRATA ARCIERE
Il racconto del marinaio

- Che mi prenda un colpo se quello non è... nostromo! Prenda una scialuppa e vada sulla spiaggia a recuperare quel pezzo di legno, subito!
Questo fu l’ordine che il comandante mi diede, molti anni fa, quand’ero imbarcato su un mercantile che faceva rotta tra l’Inghilterra e le piccole Antille. Quel giorno, poco dopo, sarei venuto a conoscenza di una storia di mare, navi, capitani, frecce e amore. Di quelle che ci raccontiamo noi marinai, la sera, davanti a un bel boccale di birra con in sottofondo nient’altro che il rumore delle onde e dei gabbiani in volo. Preparate i calici, perché stasera anche voi brinderete al mito di Julian Raven, il temibile pirata arciere!
Ciò che ero stato mandato a recuperare su quella spiaggia altro non era che un banalissimo cuore inciso in una corteccia d’albero. Al suo interno, due iniziali, J e S. Il comandante lo guardò, soddisfatto, e un sorriso comparve in quel suo viso altrimenti perennemente austero.
- Lei è molto giovane, - mi disse - e probabilmente non sa cosa abbiamo trovato oggi. Questo cuore racchiude in sé una delle più belle leggende del mare, un tempo conosciuta da tutti, ma ormai quasi completamente dispersa nell’oblio delle correnti. Questa sera raduni l’intero equipaggio sul ponte, perché è giunto il momento che qualcuno ne onori la memoria.
E così, quando fummo tutti riuniti, il comandante iniziò il suo racconto.

Vi è stato un tempo in cui andar per mare non era sicuro come oggi. Tutte le principali rotte commerciali pullulavano di pirati, pronti al saccheggio anche per il più misero bottino. Tra questi, il più temuto era Julian Raven.
Aveva lunghi capelli corvini e occhi glaciali, che non lasciavano trasparire alcuna emozione. Se ne stava lì, in silenzio, con l’arco in mano, in piedi sulla polena della nave. Sull’albero maestro sventolava il suo Jolly Roger, riconoscibile perché sotto al teschio, al posto delle ossa, aveva due frecce. Ma quando riuscivi a distinguerle era già troppo tardi. Julian Raven aveva già scoccato il suo dardo, e il destino della tua nave era segnato.
Nessuno era mai riuscito a scoprire il segreto nascosto nel suo arco. Si parlava di qualche sorta di patto col diavolo, di qualche maledizione voodoo, di stregoneria, di magia nera. Sta di fatto che bastava una delle sue frecce per affondare qualsiasi tipo di imbarcazione. Il tutto senza che vi fosse alcun danno visibile allo scafo. La nave, semplicemente, diveniva sempre più cupa e pesante, quasi avvolta da un’aura nera di morte, finché, in breve, iniziava inesorabilmente ad affondare. Giusto il tempo che bastava ai suoi uomini per depredarla, fuggire e lasciare i sopravvissuti in balia dell’oceano. Questo era il modus operandi di Julian Raven, il Pirata Arciere, e la sua fama aumentava giorno dopo giorno, freccia dopo freccia, bottino dopo bottino, cadavere dopo cadavere.
Finché, un giorno, qualcosa cambiò. Perché in tutte le storie che si rispettino arriva sempre qualcosa che muta il corso degli eventi, che fa cambiare verso alla ruota del destino.
La Sea Mauler era la nave più potente della marina militare inglese. Un vascello di primo rango con centoventi cannoni distribuiti su tre ponti. Una fortezza galleggiante, ottocento uomini di equipaggio armati fino ai denti, utilizzata per le missioni più delicate e a rischio.
Quel giorno, la Sea Mauler stava scortando il nuovo governatore di Barbados sull’isola. Un uomo scelto per la sua fedeltà alla corona, ma anche per la sua spietatezza verso i contrabbandieri, di cui Barbados in quel periodo era piena, con grave danno economico per gli affari inglesi. Il viaggio si era rivelato tranquillo e senza imprevisti di sorta, probabilmente a causa del timore che la sola sagoma di quella nave incuteva. Si trovavano ormai a poche decine di chilometri dalla meta quando, dalla coffa, l’uomo di vedetta scorse l’inconfondibile Jolly Roger della Freccia della Morte, la nave di Julian Raven.
Lui era già lì, sulla polena, l’arco teso pronto a sfidare la Sea Mauler senza alcun timore. Bastava solo trovare il punto giusto da colpire. Ogni nave aveva un punto debole, uno solo, e lui sapeva trovarlo e centrarlo anche da quella distanza.
Ma quel giorno, proprio nel momento in cui stava per scoccare la freccia dannata, con la coda dell’occhio vide qualcosa di inaspettato. Vide capelli biondi che scendevano liberi e sinuosi, come la sagoma di un delfino nell’acqua. Vide un volto dai tratti delicati, armoniosi e leggeri come il volo di una sterna. Vide gli occhi di chi stava osservando il mare. Due occhi in cui l’infinità del mare si rifletteva, perdendocisi dentro. Due occhi così profondi da poter contenere tutte le meraviglie del mare, e forse anche di più. Due occhi di donna.
Sul ponte della nave inglese c’era una donna. La figlia del governatore, Sheryl Lyon. La donna più bella che Julian Raven avesse mai visto. E quegli occhi incrociarono il suo sguardo, pur essendo così lontani. E fu un attimo. La scintilla esplose, e Julian ne fu travolto. Esattamente nel medesimo istante in cui la Freccia della Morte fu travolta dai colpi generati da altre scintille, quelle dei cannoni della Sea Mauler.
Il pirata arciere venne catturato assieme a tutti gli uomini della sua ciurma. Mentre lo portavano, ammanettato, nelle celle sottocoperta, passò accanto a Sheryl così vicino che i loro corpi si sfiorarono, e ne avvertì il profumo, dolce come il frutto della maracuja. Lei, affascinata dalla sua nobile postura e dallo sguardo imperturbabile, non poté fare a meno di chiedersi come un uomo così bello potesse celare un animo così malvagio.
La notizia della cattura di Julian Raven fece in breve tempo il giro dei sette mari. La sua pubblica esecuzione fu il primo atto firmato dal nuovo governatore di Barbados, che non si era fatto scrupoli a negargli la possibilità di un regolare processo, visto lo straordinario ritorno di immagine che quella storica impiccagione poteva dargli.
Ma non aveva fatto i conti con la curiosità della figlia.
Sheryl ben presto si recò nelle prigioni, ancora ammaliata dalla misteriosa figura del pirata e desiderosa di conoscerne la storia. E così lui le raccontò di una vita fatta di assalti, ruberie, morti, tradimenti, navi affondate, tesori sepolti e tutto ciò che di peggio può esserci nella carriera di un pirata che si rispetti.
Mentre parlava, tuttavia, si rese conto che non lo faceva più con il solito animo freddo e distaccato con cui aveva affrontato mille battaglie, ma che qualcosa di nuovo lo stava avvolgendo, qualcosa che non conosceva. Gli occhi di lei riflettevano le sue parole, rimandandogli indietro tutte le sofferenze che aveva causato, e lui non poté fare a meno di rimanerne profondamente turbato. Finché sul viso di Sheryl comparve anche una lacrima. Lui la prese e la osservò. Quanto dolore poteva essere contenuto in quell’esile goccia, che ora stava scivolando via dalla sua mano? Quante nefandezze poteva racchiudere e portare con sé quel minuscolo oceano salato?
Poche ore lo separavano ormai dall’esecuzione. Lei, ancora scossa dai suoi racconti, prese coraggio e volle chiedergli di svelarle l’ultimo dei suoi segreti, la magia nascosta nel suo arco. Lui rispose che l’avrebbe rivelato solo in cambio della libertà. Sheryl lo guardò, conscia di trovarsi al cospetto di un pirata assassino con un passato dalle mille colpe, ricercato da tutte le autorità del mondo conosciuto. Ebbe però l’impressione che il suo sguardo fosse diverso, che quella lacrima avesse lavato via tutti i delitti, e che ora nei suoi occhi si vedesse la trasparenza di un animo puro. Decise di fidarsi, e aprì la cella.
Julian la prese per mano e scapparono, assieme, rifugiandosi in un bosco lì vicino. Inseguiti in breve dalle guardie, trovarono riparo dietro un vecchio albero, giunto ormai alla fine dei suoi giorni, ma che ancora si ergeva con dignità e fierezza. Lì trattennero il respiro, in silenzio, rimanendo così per un tempo che pareva interminabile. E i loro corpi e le loro labbra, così vicini, conclusero ciò che già era iniziato nel loro animo fin dal primo sguardo.
Fu allora che lui le svelò il segreto. Prese un coltello e incise sull’albero un cuore, e dentro vi disegnò le loro iniziali. Una J e una S. Esatto. Il pezzo di corteccia che abbiamo appena ritrovato sulla spiaggia.
- Il mio arco - le disse - colpisce le navi dritte nel cuore. Non affondano, muoiono. Il legno di ciascuna nave apparteneva ad un albero, e di questo conserva la storia. Per ognuno di essi esiste un punto dove qualche essere vivente ha lasciato il proprio messaggio d’amore. Un nido, una carezza, una tana, un bacio. Quello diventa il cuore dell’albero, e pulsa di vitalità. Colpisci quel punto, e l’albero morirà. E con esso qualsiasi nave.
Sheryl annuì.
- Quindi questa incisione ora è il cuore di quest’albero, e il suo legno porterà sempre con sé la forza del nostro amore. Chissà, magari un giorno con esso costruiremo la nostra nave, per poi salpare e vivere liberi nel mare.
Non ci crederete, ma fu proprio così. Perché il destino è tutt’altro che cieco, e spesso adora trasformare una bella storia in una vera e propria leggenda. Il vecchio albero, neanche avesse sentito le parole della ragazza, cadde quella notte stessa, quasi a offrir loro il proprio servigio. Nel medesimo istante, i due fuggitivi raggiunsero la costa orientale dell’isola, ricca di falesie, scogliere a picco e grotte nascoste, battuta da fortissimi venti atlantici e perciò evitata come la peste dalle rotte navali. Qui, sentendosi ormai al sicuro, decisero di mettersi alla ricerca di un giaciglio protetto dove trascorrere la notte.
Ben presto però i due si accorsero di non essere soli. Cinque robusti uomini di colore, avvicinatisi col favore delle tenebre, li circondarono, per poi scortarli all’interno di una grotta, senza proferire parola.
Stavolta entrambi prigionieri, Sheryl e Julian giunsero in un’ampia sala sotterranea, illuminata da un grande fuoco posto proprio al centro, dove ad attenderli c’era quello che probabilmente era il capo di quella piccola comunità. Erano schiavi, evidentemente riusciti a fuggire in qualche modo e ora insediatisi in queste grotte. Stiamo parlando degli anni in cui una grossa fetta dell’economia dei paesi coloniali si basava sulla tratta di questi uomini, tanto che Barbados, la cui popolazione indigena era ormai estinta, era stata ripopolata proprio con gli africani impiegati nelle piantagioni di zucchero. Cotone, stoffe e rum partivano poi periodicamente dal Nord America e dall’Europa, destinati a finire in quella parte dell’Africa occidentale divenuta tristemente famosa come la Costa degli Schiavi. E così il cerchio si chiudeva.
I tre si trovavano ora faccia a faccia. Al capo bastò uno sguardo per rendersi conto che la ragazza che lo fissava altri non era che la figlia del governatore dell’isola. Sicuramente una ghiottissima occasione per poter barattare la sua vita con la propria libertà. Julian invece gli era sconosciuto, evidentemente la sua fama di pirata non era ancora arrivata fino ai ranghi più bassi della popolazione. Illuminato solo dal tenue rossore del fuoco, in silenzio lo osservava, pensieroso, valutando cosa fare di quell’uomo dagli occhi di ghiaccio.
La tensione del momento fu interrotta da un boato improvviso, che fece tremare la volta del sotterraneo. Una cannonata, cui presto ne seguì un’altra, e un’altra ancora, seminando il panico tra i presenti, che si misero a fuggire in tutte le direzioni, come in un formicaio impazzito.
Approfittando dello scompiglio, Julian eluse la sorveglianza degli africani e corse fuori dalla grotta. Si arrampicò su uno degli scogli più alti, da dove poté vedere l’origine delle esplosioni. Una nave inglese, della ricca flotta dei mercanti di schiavi. Evidentemente si erano accorti che qualcuno era riuscito a fuggire ed erano venuti a riprenderselo, prima che la notizia si diffondesse troppo, andando a minare l’onore e la reputazione della compagnia.
Senza pensarci due volte, Julian tese l’arco e scoccò il dardo che portò morte da una parte ed eterna riconoscenza dall’altra.
La nave s’inabissò, ormai priva della propria anima, mentre un caloroso abbraccio accolse il pirata al suo rientro. Il capo degli schiavi ora nei suoi occhi vedeva la luce della libertà. E questa poteva avere una sola forma: quella di una nave con cui salpare.
Recuperarono il legno dell’albero caduto e si misero immediatamente al lavoro. In poche settimane nacque la Libertà Alata, un’imbarcazione più piccola della Freccia della Morte, l’ideale per non dare troppo nell’occhio, ma veloce come il demonio. Il legno della chiglia, nonostante l’età, era incredibilmente resistente ed emanava una sorta di energia che gli africani non riuscivano a spiegarsi, ma che Julian e Sheryl, che ne conoscevano il segreto, capivano bene.
Così iniziò la seconda vita di Julian Raven. Il suo arco ora non serviva più a razziare e depredare, ma si ergeva a difesa dei più deboli contro i soprusi dei governi europei. Sheryl, che aveva visto con i suoi occhi quel mondo seguendo le tappe della carriera del padre, conosceva benissimo le rotte degli scambi, e ben presto la loro nave divenne l’incubo delle potenze coloniali.
 Le flotte dei mercanti di schiavi subirono moltissime perdite, al punto che la maggior parte delle compagnie fallirono o furono costrette a cambiare attività e, spinte dall’entusiasmo generato da quell’ondata di improvvisa libertà che si stava via via diffondendo, numerose furono le insurrezioni spontanee che si conclusero con la vittoria. A detta di molti, la Libertà Alata ebbe un ruolo fondamentale nella fine dello schiavismo, che qualche decennio dopo sarebbe diventato solo un triste ricordo.
Ma, come tutte le storie più belle, anche quella di Julian Raven giunse all’epilogo.
La sua freccia, un giorno, incontrò la chiglia che la respinse. Una chiglia mai stata testimone di alcun gesto d’amore. Una chiglia fredda, priva di alcuna emozione, che mai era nata, mai era cresciuta e mai aveva vissuto. Una chiglia inerte, incapace di empatia con le altre creature. Erano iniziati i tempi delle navi di ferro.
Nessuno seppe più nulla di Julian, Sheryl e della Libertà Alata. Scomparirono del tutto da un giorno all’altro. Qualcuno li dette per morti, qualcun altro disse che scelsero di trascorrere gli ultimi anni della loro vita su un’isola anonima, in pace. I tempi moderni, in fondo, non erano più adatti a lui e alla sua storia. Qualcuno mise addirittura in dubbio la loro esistenza, e la veridicità di questo racconto. Ma c’è anche chi è pronto a giurare, forse dopo una bottiglia di rum di troppo, che ancora oggi il fantasma di Julian Raven navighi in questi mari e che la forma ad arco dell’arcipelago delle Antille altro non sia che un chiaro omaggio di madre natura alla sua leggenda.

Quando il capitano ebbe finito il suo racconto, una stella cadente passò esattamente sopra il ponte della nostra nave, lasciandosi dietro una scia così luminosa da sembrare vicinissima, quasi da poterla sfiorare con un dito. Eppure non vi nascondo che io, e con me molti altri, pensammo che quella non fosse affatto una stella, ma una freccia scoccata dall’arco di Julian Raven, pronta a fare la sua comparsa in cielo ogni volta che qualcuno ne narri le gesta. Chissà se anche oggi, quando usciremo da questa osmiza, alzando gli occhi verso le stelle potremo godere di questo spettacolo. E ora in alto i calici, alla memoria del pirata arciere e del grande cuore della Libertà Alata!


Bon, e adesso non vi resta che andare a comprare l'osmiza sul mare e regalarlo a tutti!
Se no ala prossima Barcolana ve troverè de fianco Julian Raven!

L'Osmiza sul mare lo trovate in tutte le librerie di Trieste e Bisiacaria a 10 euri.
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